SEI SICURO DI SAPERE COS’È LA VANLIFE?

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È sulla bocca di tutti. È la moda del momento. Se non sai chi ha inventato la vanlife questo può essere un buon momento per scoprirlo.

Patetica…

Escludendo il Volkswagen T1 “hippie-zzato” degli anni 60 – il famoso “Bulli” che si è consolidato come portatore di “Pace e amore libero”, in passato chi viveva in un furgone non è che vantava di tutta questa grande ammirazione.

Nell’Italia degli anni 80 e 90 molti avrebbero pensato agli zingari, ai Rom. In America, dimenticati i figli dei fiori, “Vivere in un furgone giù al fiume” – reso famoso da Chris Farley nei suoi sketch al Saturday Night Live degli anni 90… beh, non è che fosse proprio sinonimo di “Sogno Americano” (anche se il sogno americano rappresentato da Steve Ballmer non sembra molto diverso 😆😆😆)

LO SAPEVI CHE – L’8 aprile, è la Giornata mondiale dei Rom e dei Sinti, riconosciuta dall’Onu. L’obiettivo è quello di tenere alta l’attenzione sui problemi e le discriminazioni subite da questo popolo.

C’è da dire anche che negli stessi anni, chi viaggiava in camper in Italia veniva considerato benestante. Ma anche qui, che camper aveva? Perché alcuni mezzi erano da pezzenti, altri da ricconi. L’Italia riesce sempre a dare il meglio di se quando si tratta di giudicare!

Quand’è che l’immagine di vivere o viaggiare in un furgone si è trasformata dall’essere patetica ad essere romantica?

Romantica…

La Vanlife, così come la conosciamo oggi, è stata inventata da Foster Huntington quando nel 2011 lascia il suo lavoro a New York, compra un Volkswagen Vanagon (un Transporter T3) e si mette in viaggio. Nel suo profilo Instagram inizia a collezionare le foto del viaggio per la prima volta con il tag #vanlife (scherzando sul tatuaggio di Tupac“You know, it’s not thug life—it’s van life!”Non è una vita da teppista, è una vita da furgone!)

Nel 2013 dopo 130.000 Km di viaggi percorsi nel Nord America e moltissimi scatti che ritraggono il suo viaggio, pubblica il libro “Home Is Where You Park It” (Casa è dove la parcheggi) di fatto cementificando le fondamenta di tutto quello che la vanlife sarebbe diventata.

Fast-forward-iamo ai giorni nostri, dieci anni dopo, e la vanlife è un fenomeno social mondiale.

Foster Huntington e il Volkswagen Vanagon che ha fatto storia

Spirituale…

Diversamente dagli anni dell’America psichedelica, dove il furgone era una “convenienza di viaggio” ma nulla aveva a che vedere con il fine del movimento, la vanlife sembra invece rappresentare essa stessa un fine. Per capirci, “van life” letteralmente significa “vita da furgone”, che nella pratica diventa “esperienza più o meno totalizzante di vivere una tana su ruote”. Un nuovo lifestile ma senza la proposta di alcun valore universale destinato all’umanità come “Peace & Love”.

Un po’ come se Huntington avesse preso il motto di Timothy Leary, “Turn on, tune in, drop out” (Accenditi, Sintonizzati, Abbandonati) – atto ad indirizzare le esperienze lisergiche, sintetizzandolo in “Drop out” cioè “Lasciare” la strada che la società ci dice di seguire. In questo modo può iniziare il viaggio autentico alla scoperta di noi stessi e del mondo.

Al tempo di Leary gli psichedelici si stavano affermando come medicinali per coadiuvare sedute psicologiche e terapeutiche. Che la vanlife, in modo analogo, sia vista da molti come una medicina per l’anima?

Una vista ormai “classica” della vanlife, fotogramma regalatoci da Francesca Ruvolo di WildFlowerMood in uno dei suoi video

La strada

Sappiamo tutti come è finita con gli Hippies. Quando “il genio esce dalla lampada” e risveglia le coscienze, lo stato interviene per ripristinare l’ordine costituito, rinchiudendo il genio per tornare alla sicurezza della “normalita”.

Con la vanlife è diverso. Possiamo dire che i vanlifers sono persone singole, coppie o famiglie, che hanno inserito nel proprio viaggio elementi ispirati dalle popolazioni nomadi. Molti riuscendo ad integrarlo con la vita stanziale di casa e lavoro, alcuni riuscendo a dedicarvisi full time abbracciando il nomadismo nella sua forma più pura. Non volendo rivoluzionare il mondo, ma “solo” se stessi, non risulta essere un pericolo per la società.

Sharm Murugiah

L’immagine che più mi piace quando penso al vanlifer è quella del surfista. Sostituiamo il surf con il van, le onde con città, montagne o deserti e l’equlibrio necessario per “cavalcare la cresta dell’onda” con l’equilibrio necessario per “cavalcare i giardini del mondo”.

Ecco, la vanlife è uno dei modi con cui interpretare il cammino, la strada, la libertà. E come tutto ciò che riguarda la libertà è un percorso che inizia dentro ad ognuno di noi prima di mostrasi sotto una qualche forma.

Per chi vive la vanlife – questa forma – è la strada.

Le strade sono tutte uguali, non portano da nessuna parte. La tua strada ha un cuore? Se lo ha, è buona. Se non lo ha, allora non serve a niente.

Gli insegnamenti di Don Juan, Carlos Castaneda

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